Uganda: prosegue l'esperienza umanitaria di WECARE
Anche quest'anno, come ormai da 5 anni a questa parte, un gruppo di operatori sanitari appartenenti alla WECARE Onlus di Asti ha scelto di sacrificare il proprio periodo di riposo durante le festività natalizie a beneficio dei più deboli, trascorrendole nel nord dell'Uganda a favore di un ospedale missionario. E con la solita leggerezza ed incoscienza che ormai ci contraddistingue abbiamo preparato le nostre valige, che più che gli effetti personali contenevano oggetti necessari ai nostri nuovi e vecchi amici e siamo partiti per il continente africano. Ed è quando arrivi in aeroporto che l’Africa ti avvolge con la sua cappa di umidità e con i suoi odori forti, quasi ad abbracciarti e a ringraziarti per il tuo ritorno. Dopo un lungo viaggio aereo ci aspetta un altro interminabile viaggio attraverso strade dal traffico caotico, dove si passa dalle ville ed i giardini di Entebbe, alle improbabili catapecchie di fango e lamiera delle periferie, fino alle dignitose capanne del Nord, dove la vita scorre lentamente e la fretta è quell'errore umano che non ha ancora messo radici. Ed eccoci finalmente arrivare nel "nostro" ospedale: Nord dell'Uganda, Ospedale di Aber, distretto di Oyam, Lira. Dopo una prima esperienza in un ospedale missionario nella periferia di Kampala e dopo aver visitato altre realtà, abbiamo fatto un altra scommessa con noi stessi e ci siamo accostati in punta di piedi a quest'Ospedale dove abbiamo cercato di aiutare la popolazione fornendo supporti strumentali come letti di degenza, attrezzature diagnostiche, apparecchiature radiologiche, materiale per gli ambulatori, ma soprattutto cercando di offrire il bene della nostra professionalità acquisita in tanti anni di esperienza. E' con grande orgoglio che abbiamo visto che il materiale sanitario inviato nel container spedito alcuni mesi fa è stato messo in uso ed in particolare ha consentito di mettere i letti di degenza nella nuova ala dell'Ospedale costruita per l'emergenza, i lettini per l'attività ambulatoriale sono negli ambulatori, il colposcopio e l'ecografo inviato sono funzionanti ed utilizzati quotidianamente, mentre l'apparecchiatura radiologica è in fase di montaggio e le lampade per la sala operatoria sono ancora in attesa di essere montate. L'accoglienza è quella di sempre, affettuosa, come se ci fossimo lasciati la sera prima. In quest'ospedale arriva di tutto, dai numerosi malati di malaria, tuttora la malattia che uccide più bambini al mondo, ai pazienti affetti da AIDS, ai traumatizzati, alle donne gravide e soprattutto bambini. Le attività non si fermano mai, 24 ore su 24, 365 giorni all'anno in cui si cerca di garantire acqua, elettricità, farmaci, professionalità ed anche un po' di affetto, una carezza ed un po' di ottimismo perchè forse verrà un domani meno avaro. Tra i pazienti ci sono anche malattie a noi poco note o ricoverati che versano in condizioni gravissime e spesso irreversibili perchè arrivati tardi in ospedale dopo viaggi di chilometri a piedi o con mezzi di fortuna o perchè le strutture sanitarie non sono in grado di fornire adeguata assistenza. E le vittime sono spesso le donne, come quelle che subiscono lesioni per un parto complicato, o i bambini, soprattutto neonati o piccolissimi, il cui pianto è spesso silenzioso, come fossero già consci di un destino segnato. Si respira comunque una vivace atmosfera di normalità ed anche di ripresa. Negli ultimi anni in Uganda, grazie alla pace ritrovata dopo decenni di guerre fratricide, si è interrotta la spirale di guerre e carestie con un importante incremento degli indici demografici, economici, tecnologici e sociali. Il miglioramento economico si tocca con mano e le attuali condizioni favoriscono il lento processo di ripresa e la voglia di normalità sembra avere la meglio. L'aumento dell'aspettativa di vita in una delle popolazioni più giovani del mondo si sta traducendo comunque in una maggiore richiesta anche di condizioni sanitarie adeguate. Ci siamo quindi rimboccate le maniche e, giorno dopo giorno, è volato il nostro tempo tra sala operatoria, ambulatori, ma anche passando il tempo tra la gente, vivendo la loro quotidianità e rispettando le loro usanze in quanto ci siamo sempre ritenuti ospiti. Il nostro obiettivo è infatti soprattutto quello di cercare di fornire qualche strumento in più per cercare una crescita nel proprio paese e non per favorire viaggi della speranza che più spesso si traducono in ulteriore disperazione. Ed è proprio dal sorriso delle decine di bambini che abbiamo conosciuto, dalla forza di chi cerca di tirare avanti, non solo per la quotidianità ma anche per la speranza di un domani, cercando una dignità nel nulla, che abbiamo trovato la risposta al perchè dei nostri sacrifici ed abbiamo trovato la nostra Africa, quella dove è palpabile l'energia e la speranza per un domani e dove la determinazione per un futuro migliore è intimamente legata alla voglia di risalire la china nella ricerca di un avvenire dignitoso per se stessi e per le generazioni future. Non posso dimenticare tuttavia il volto di una giovane ragazza, malata terminale di AIDS, che dal suo letto ha chiesto di essere fotografata, senza paura né vergogna, come se la sua ultima richiesta volesse essere quella di essere la testimonianza di un destino per lei segnato e senza scampo. La sua immagine è sicuramente il più grosso, silenzioso ringraziamento a quello che abbiamo fatto, ed il baratro del suo sguardo è sicuramente un invito senza parole al mondo perchè non dimentichi la sua gente.
Bianca e Francesco
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