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Uno strano safari fotografico

Le cascate Murchison sono lontane. Sono una presenza, una voce che corre; qualcuno di noi le ha anche viste. Se ne dicono meraviglie. Immaginarsi, un fiume come il Nilo, che scorre lì davanti ai nostri occhi, calmo e tranquillo, ma largo come un lago, che va a infilarsi in una gola che sembra la cruna di un ago e in più si fa un saltino di circa cinquanta metri! Dico, riuscite a capire? Tutta l’acqua del Nilo che va a precipizio dentro una chicane di roccia che solo i millenni possono scalfire e si sfoga schiumando e muggendo come cento mandrie di bufali alla carica. Ci sono momenti in cui si alzano tali nubi di gocce e vapore che il sole, ammirato, le accarezza con più di un arcobaleno. Insomma, le cascate sono lì, ma non disturbano la pace di queste magnifiche colline moquettate di erba alta, appena ombreggiate da macchie di alberi dalle foglie tenere, ma talora con rami spinosi e da slanciate palme che si muovono nella brezza come danzatrici orientali. Il parco è un paradiso e ci si sta da re. Solamente un po’ troppi turisti, almeno in certi periodi dell’anno, ma bisogna pur campare e per i Paesi poveri o, come si dice, del “Terzo Mondo” è una grazia del cielo avere posti così dove, chi può, viene a spenderci dei bei soldi. Questo non è, comunque, un periodo di gran traffico turistico e noi del parco viviamo bene, senza troppi impegni contrattuali da onorare con l’amministrazione che lo gestisce. Ieri, per esempio, sono passati solo quattro fuoristrada. Era appena spuntato il sole, prometteva una bella giornata tiepida e un po’ ventosa. George, John ed io (mi chiamo Austin) ce ne stavamo su di una collina vicino al Paraa Lodge, gran bel posto dove purtroppo non ci fanno mai entrare. Appena alzati, stavamo dandoci un’occhiata intorno per vedere come avrebbe buttato la mattinata, quando, a un centinaio di metri da noi, si ferma una Land Rover. Ai finestrini si affacciano tre nordiche - io ormai ci ho fatto l’occhio – forse tedesche, piuttosto in carne, niente di speciale, ma è bassa stagione. Qualche foto e poi scendono, si avvicinano appena perché l’autista è sempre lì a menarla che c’è pericolo. Ma quale pericolo se è da anni che qui persino i leoni si sono messi a dieta e non toccano carne umana! Però, viste da vicino, le tre non sono malaccio. Oddio, un po’ di ciccia in eccesso, come ho già detto. La biondina ha due fianchi che sembra mia zia Rose e la brunetta, con il taglio corto dei capelli, due tette da Valchiria, ma nel complesso abbiamo visto di peggio. Ci guardano ammirate. Voglio ben vedere! Tre maschi come noi dove li trovano? Non faccio per vantarmi, ma io e gli altri due siamo un gran mucchio di muscoli fasciati di pelle brunita come ferro ben temprato. Tipi così non sono di certo materiale reperibile sulle spiagge dove vanno in caccia all’estate. George fa subito lo stupido. Gonfia il petto, alza la testa, si mette di profilo – dal suo lato migliore, dice – e John le fissa con quel suo sguardo languido che a suo dire è l’arma segreta – qualche scema di tanto in tanto ci casca -. Le tre ci guardano con evidente ammirazione. Vuoi vedere che il buon giorno si vede proprio dal mattino? Ma sul più bello ecco che arriva un altro fuoristrada, anzi due e queste risalgono e se ne vanno. Chi sono ‘sti rompi? Ecco la solita famiglia di italiani. Solo i giapponesi riescono a fare più fotografie, ma almeno non parlano tanto. A occhio e croce padre e madre e due figli o una figlia e il genero o giù di lì. E fotografa qui e scatta là. Filma su, filma giù. La gazzella che tenera, il bufalo che forza, ma il leone quand’è che lo vediamo…insomma il solito florilegio di …ate, ci siamo capiti. Dietro la loro auto ce n’è un’altra. Questi mi sembrano più discreti. Due persone a modo. Guardano il panorama, danno un’occhiata anche a noi, senza considerarci esemplari da circo, giusto un paio di foto. Mi sembrano due che sanno il fatto loro e conoscono l’Africa, specie quello che guida. Uno dei due lo chiama Damiano: mi sembra il nome adatto a un missionario…che volete, sensazioni. Anche questi se ne vanno, no, tornano indietro. Figuratevi, sono arrivate le squinzie! Non le reggo proprio. Con quell’andatura tutta fianchi ondeggianti e quello sguardo dall’alto in basso come se al mondo ci fossero solo loro! E poi gli occhi languidi – a me sembrano solamente da idiota – ma tant’è, riescono sempre a polarizzare l’attenzione. Foto e foto e foto… Ma le disgrazie non vengono mai sole: adesso incominciamo a essere in troppi! Arrivano pure Betty e Susan con quel codazzo di amichetti con cui vanno sempre in giro. Tutti fighetti e tirati a lucido, con quella linea che dicono slanciata, ma a noi tre sembrano solo degli stupidi che per tenere il peso farebbero chissà che sacrifici. Questi boccaloni di turisti, cui si è aggiunta una coppia tutta da ridere – lei un donnone e lui con un cappello che sembra quel tipo che un mio avo chiamava Stanley – si bevono i loro languori come acqua fresca. Cosa bisogna fare per campare…meno male che arriva quella strafiga della Josephine a mettere tutti d’accordo: non ci sono che occhi per lei e ti credo! Piacerebbe anche a me, ma che volete, George, John ed io siamo bufali, le spilungone sono giraffe e le fighette con i loro amici delle gazzelle Impala: per noi è meglio stare alla larga da Josy e da quel tipaccio del suo convivente. Da quando ha sentito dire che lo chiamano Re Leone ha messo su una spocchia!

 

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