GIVE A GOAT – MI DYEL ACEL!
L’Uganda è ostaggio del lockdown da 95 giorni, che lo stesso presidente Museveni ha definito “95 days of war”. La situazione è praticamente questa: è impossibile entrare o uscire dal Paese, i confini sono chiusi, tranne per i trasporti delle merci essenziali alla sopravvivenza della popolazione. Dalle 7 di sera alle 6.30 del mattino si deve rispettare il coprifuoco e rimanere in casa. I boda boda, i mototaxi, hanno il divieto di trasportare persone, nonostante questo sia spesso l’unico mezzo disponibile per poter raggiungere certi villaggi sperduti nella savana. Infine, restano chiuse fino a data da destinarsi le scuole e i luoghi di culto.
Per fortuna, la situazione dei contagi è in miglioramento. I numeri sono irrisori rispetto a quelli a cui siamo abituati in Occidente. Dei 774 positivi registrati qualche giorno fa (a fronte di oltre 170.000 test), 631 sono già guariti e nessuno è morto. E sono numeri realistici, che ci vengono confermati dai nostri amici nei vari ospedali missionari. Ma secondo Museveni: “Uganda is entering a more dangerous phase”. Ciò lascia solo presagire quanto ancora potrebbe durare il lockdown.
Intanto la gente nel Nord Uganda, privata della possibilità di lavori saltuari, soffre la fame da mesi. Suor Maria, andando a visitare i suoi bambini nei villaggi, ha trovato famiglie intere con la scabbia: a malapena si riesce a mangiare, certo non ci sono soldi per il sapone!
La gente privata dei trasporti non riesce nemmeno a raggiungere gli ospedali per farsi curare o per partorire. La risposta del presidente ai gemiti di fame della gente è che “the biggest issue is life or death, not business, jobs or convenience”. Ma è davvero la salute della popolazione, nell’ampio significato del termine, ad avere la priorità?
Come Wecare ci siamo interrogati molto in questi mesi su cosa fosse meglio fare, su come potessimo davvero far sentire la nostra vicinanza alle popolazioni del Nord Uganda, colpite dall’ennesima disgrazia.
Abbiamo scelto subito di sostenere suor Maria, che era impegnata a distribuire viveri alle famiglie dei suoi bambini sieropositivi. Ogni giorno, l’ambulanza partiva carica di riso, grano, fagioli, olio per cucinare, sale, zucchero, burro di arachidi, pesciolini secchi e sapone, per dare un po’ di sollievo ai più poveri.
Poi abbiamo saputo che era crollato il prezzo degli animali da cortile e allora abbiamo pensato di acquistarne un po’ e di chiederle di regalare a queste famiglie galline, capre e maialini. In una società così legata ad agricoltura e pastorizia, questo era il modo migliore per aiutare i più poveri.
Per i nostri ragazzi delle borse di studio, invece, volevamo pensare un po’ più “out of the box”. Tre anni fa, abbiamo scelto 14 ragazzi, non solo per pagare le rette delle scuole, ma per fare con loro un pezzetto di strada in questa vita. Non vogliamo che si sentano beneficiari di un’elemosina, desideriamo che invece possano crescere, dal punto di vista educativo ed umano. Per questo, per loro ci siamo inventati il progetto “GIVE A GOAT”, o per dirla in lingua Lango “MI DYEL ACEL”! Ogni studente ha ricevuto una capra e firmato un contratto, che sancisce il passaggio di proprietà, ma anche l’impegno a renderci un capretto, che verrà donato a Suor Maria a dicembre, in modo che possa regalarlo ai suoi bambini più fragili.
Grazie alla generosità di alcuni nostri benefattori, abbiamo potuto allargare il progetto, acquistando altre 6 capre – e altre 6 le compreremo a breve – e affidandole a piccole famiglie che si ritrovano momentaneamente senza possibilità di lavoro. Anche a loro abbiamo richiesto l’impegno a restituire un capretto per i bambini sieropositivi.
Perché se è bello ricevere aiuto quando si è nel bisogno, è ancora più bello poter aiutare e alimentare una catena del bene e della generosità!
Per ora, dall’Uganda è tutto.
Apwoyo Matek a tutti voi, cari amici e benefattori di Wecare!
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